Collodio
print this pageIl procedimento al collodio umido si deve all'inglese Frederick Scott Archer (1813-1857) che lo mise a punto intorno al 1848, benché lo rendesse ufficiale solo nel 1851 con la pubblicazione sul numero di marzo di “The Chemist”
Dedito alla scultura, Scott Archer si avvicina alla fotografia, che utilizza per ritrarre i suoi soggetti nelle varie pose, e usa le immagini come appunti visivi per la realizzazione delle sue opere
Dallo psichiatra e fotografo Hugh Welch Diamond (1809-1886), uno dei fondatori della «Photographic Society», apprende la tecnica della calotipia (nel 1847 Archer sarà fra i fondatori del Photographic Club of London, meglio conosciuto come Calotype Club) ma i risultati che ottiene, data la poca nitidezza e lo scarso contrasto delle immagini che ne risultano, non lo soddisfano, così comincia a sperimentare un nuovo metodo di sensibilizzazione delle lastre, che possa mantenere sia la raffinatezza dei dettagli del dagherrotipo che la possibilità di stampare più copie dallo stesso negativo, pratica caratteristica del calotipo
Il procedimento ottenuto, con il collodio nella forma detta umida, perché le lastre dovevano venire preparate sul momento e esposte il più velocemente possibile, non fu brevettato in quanto Archer lo volle rendere disponibile gratuitamente per tutti; fu il procedimento più estesamente usato fino al 1870, sebbene fin dal 1855, per ovviare alla necessità di immediatezza della preparazione delle lastre e all'uso rapido di ripresa che se ne doveva fare, fosse stata messa a punto una prima variante al collodio secco - dal fisico francese Jean-Marie Taupenot (1824-1856).
Il collodio, umido e secco, venne utilizzato come collante nella preparazione dei negativi su vetro fino al 1880 circa, quando fu sostituito dalla più versatile tecnica della gelatina al bromuro d’argento
Vai/torna a Luce, chimica e altro per scoprire di più